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Liberiamoci della crisi in corso, prima che sia troppo tardi

È ora di tornare con i piedi per terra

La strada delle elezioni è la più ragionevole, sebbene sia la più temuta

di Davide Giacalone - 18 novembre 2010

Dovremmo liberarci al più presto della crisi in corso, per ragioni di salute costituzionale ed economica. Invece la teniamo appesa e ci danziamo sotto. Avvertimmo che il 14 dicembre sarebbe stata la data peggiore, quella oltre la quale le esalazioni tossiche sarebbero divenute mortali, e ci ritroviamo ad aver previsto il guaio, visto che un inedito comitato di coordinamento parlamentare, convocato al Quirinale, ha pianificato per quel giorno un doppio dibattito ed un doppio voto. Questo il capolavoro, dal quale la Costituzione faticherà a riprendersi: il calendario dei lavori d’Aula messo a punto dal Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale che s’appresta ad intervenire nel dibattito. Ecco il quadro: i giocatori, a cominciare da Silvio Berlusconi, si fanno coraggio dicendo che va tutto per il meglio; le tifoserie vociano; il campo è un pantano; l’arbitro palleggia; e le regole, la Costituzione, conservano, nel migliore dei casi, un valore simbolico.

Il tutto si giustifica con la necessità d’approvare la legge di stabilità (la stessa che Giorgio Napolitano ha aspramente attaccato, provocando un costoso fremito alla curva che divide i nostri tassi d’interesse sul debito pubblico da quelli tedeschi), da incastonare nella totale instabilità europea. La quale instabilità ha cause tutte politiche, ma si pretende di raccontare che siano tecniche e finanziarie, così che, alla bisogna, si possa gridare alla necessità di dare vita ad un governo tecnocratico. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno.

Se il sole del 14 dicembre sorgerà ancora su questo governo, la mattina inizierà con l’adunanza della Corte Costituzionale, impegnata a discutere della legge che regola il legittimo impedimento. Se arriveranno ad una decisione interverranno nel dibattito sulla fiducia, se la sospenderanno ne ipotecheranno le conclusioni, o ne amministreranno il colpo di grazia. Nel mentre la Consulta opera il governo va a chiedere la fiducia, come se non l’avesse ottenuta da poche settimane e come se l’averla ottenuta non ne abbia affatto cancellato la crisi.

Dibattere in contemporanea, votare nelle stesse ore, non è solo un divertente esercizio d’ubiquità governativa (il dibattito è un rito talmente inutile che può svolgersi contemporaneamente in due posti, quirinalizzandone il vuoto declamare), è anche un modo per togliere influenza al voto di un’Aula sull’altra. Più o meno il contrario di quel che i Costituenti scrissero. Quando il sole sarà tramontato, si voterà. Se il Senato negherà la fiducia, partirà l’operazione “cancelliamo Berlusconi”.

Politicamente legittima, per carità, salvo il fatto che si dovrebbe cancellare anche il risultato elettorale, e farlo senza nuove elezioni è un pessimo azzardo. Se il Senato accorderà la fiducia si passerà a contare i voti della Camera. Ove il risultato sia coerente con quello dei colleghi, il governo continuerà ad essere quello in crisi da tempo, ma non per questo cesserà di vivere. Tutto sarebbe rimandato e demandato agli altri poteri, quelli togati, incaricati della decapitazione (figurata, naturalmente). Ove, invece, le defezioni dalla maggioranza non siano compensate dalle controdefezioni, tutte per ragioni ideali, ci sarebbero le condizioni per applicare l’articolo 88 della Costituzione e sciogliere la Camera dei Deputati. Non lo si farà. La cosa comica è che si nega anche sia possibile (invece non solo lo è, ma è già avvenuto, sebbene per ragioni tecniche, parificando la durata in carica di Camera e Senato, originariamente diverse).

Si cercherà ancora una strada diversa: far nascere un nuovo governo, uguale a quello in carica, ma che sia diverso. Non spaccatevi il cervello per cercare di capire: è fuffa. Roba da bambini: tu mi dici che avevo ragione io e io farò come dici tu. Se così dovesse andare, ma stento a crederci, il governo dovrebbe fare quel che non è stato capace di praticare nel 2008: partire in quarta con le riforme strutturali, anche costituzionali. La strada delle elezioni è la più ragionevole, sebbene la più temuta.

Il governo sa di dovere fare i conti con l’astensione, provocata dalla delusione e dalla riprovazione. La sinistra sa di perdere, per inconsistenza, oltre tutto dissanguandosi a favore dei presunti alleati. Quanti hanno fatto i gradassi temono d’essere sommersi di voti, ma con il contagocce. Resta, comunque, la strada più ragionevole, perché l’intera Europa galleggia su un oceano di liquidità, dal quale può alzarsi, in ogni momento, uno tsunami speculativo. Noi ci siamo presi una vacanza litigiosa e dissennata, fuori dal mondo. E’ ora di tornare con i piedi per terra, in fretta.

Pubblicato da Libero

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